Bombay (cocktail IBA del 1961)

½ Brandy

¼ Vermouth dry

¼ Vermouth rosso

Una goccia di Pernod

Due gocce di Curaçao

Si prepara nello shaker con poco ghiaccio cristallino.

 

Origini e curiosità

Bombay era il vecchio nome dell’attuale Mumbai (almeno info al 1995): una delle più popolose città dell’India, capitale dello stato del Maharashtra. Mumbai è posizionata sulla costa occidentale dell’India e possiede un profondo porto naturale, che movimenta quasi la metà del traffico marittimo merci dell’India.

Secondo una teoria diffusa sulle origini del nome tradizionale “Bombay”, questo deriverebbe dal nome portoghese bom bahia. Il termine bahia starebbe per “baia”, e questa spiegazione è supportata dal fatto che il nome inglese Bombay contiene il suffisso bay (baia), mentre bom, sempre in portoghese, significa “buono”. Secondo questa interpretazione, bom bahia avrebbe significato per l’appunto “buona baia” e “Bombay” sarebbe una distorsione del nome. Tuttavia, il termine “buona baia” dovrebbe essere in portoghese boa baía (bahia nell’ortografia antica), e non bom baía, per cui questa teoria non è generalmente accettata[1].

Storico delle ricette

 

Il Bombay appare in due versioni (n. e n. 2) nel libro di Harry Craddock. Nella prima variante si presenta così:

4 spruzzate di succo di limone

¾ di bicchiere da vino di East Indian Punch

Shakerare bene e filtrare nel bicchiere da cocktail.

La versione n. 2 è la seguente:

1 spruzzata di Assenzio

2 spruzzate di Curaçao

¼ Vermouth francese

¼ Vermouth italiano

½ Brandy

Shakerare bene e filtrare nel bicchiere da cocktail.

Appare anche nel ricettario World drinks and how to mix them di Boothby, dove nella versione 2 si utilizza il Cognac al posto del Brandy. Embury invece nel suo The fine art of mixing drinks lo paragona ad un Medium Manhattan, con alcuni ingredienti modificati.

 

I prodotti

Il Brandy italiano

Il 7 Dicembre del 1951, con l’atto di nascita del decreto legge n. 1559, veniva battezzato brandy italiano. Fino a quel momento le acqueviti prodotte da uve italiane si chiamavano “cognac”. Solo dopo in seguito alla contestazione francese (il Cognac poteva essere prodotto solo in Francia, nella zona della Charente), si arrivò a questo. La legge citata lasciò la scelta ai produttore di chiamarla acquavite, acquavite di vino, arzente, Arzente (quest’ultima è la versione italiana dell’aguardiente spagnola, coniata da Gabriele d’Annunzio ai tempi del fascismo, quando non si potevano usare parole straniere).

I produttori furono concordi nello scegliere il termine Brandy, dall’olandese Brande wijn, vino bruciato. Secondo altri la parola comparve per la prima volta nel Seicento in una ballata inglese (It is more fine than Brandewine).

Se andiamo a scavare ancora nell’etimologia delle parole, troviamo Brant, termine tedesco che sta per tizzone e Braudr, spada. L’analogia dei due termini sta nel “lampeggiare” e nel vibrare che sono propri della fiamma e della lama della spada. Vino di fuoco o vino bruciato quindi sono i termini adatti al Brandy.

Il Brandy viene invecchiato per almeno due anni e si beve come il Cognac, in appositi bicchieri detti a uovo tronco oppure in tulipe. Un tempo apparvero degli appositi “scaldabrandy”, ma più che altro fu una moda del momento: l’unico scaldino consentito sono le mani. Tra le molte ditte italiane produttrici di brandy, vale la pena citare la Buton (il cui fondatore Jean Buton si trasferì dalla nativa Charente in Romagna): a Bologna iniziò a produrre liquori dai nomi patriottici come il “Liquore dei Lombardi”, il “Gran San Bernardo”, la “Rosa di Monaco” e il “Liquore della Foresta”, oltre naturalmente al Cognac (in quel tempo si poteva chiamare ancora così il distillato fatto con le uve Trebbiano della Romagna). L’azienda passò poi alla famiglia Rovinazzi e poi ai marchesi Sassoli de’ Bianchi che ne fecero un’industria internazionale.

Nota anche la Stock di Trieste, che ha visto la luce nel 1883 da Lionello Stock. Secondo la storia, il giovane ventenne passeggiando insieme all’amico Carlo Camis nei pressi di un porto, vide caricare su una nave francese un buon numero di botti di vino veneto e friulano destinato alla Charente, in quel periodo con i vitigni devastati dalla peronospora. Fu così che si decise a lavorare in proprio, partendo dalla materia prima che aveva a portata di mano.

Altri famosi distillati italiani sono lo “Stravecchio Branca”, il “Cavallino Rosso” della SIS[2], il “René Briand” della N.P.T di Torino, l’”Arzente” della Ramazzotti, il “Vecchia Libarna” della Gambarotta, il “Saint Honoré” della Landy Frères, il “Vecchio Piemonte” della Martini & Rossi, il “Gran Senior Etichetta Nera” della Distilleria Fabbri, oltre a tanti altri brandy prodotti dalla Sarti, Camel, Carpené Malvolti, Florio, ecc.

Questi erano i nomi che giravano quando il Bombay andava di moda negli American Bar: oggi molti di questi sono scomparsi. Divertitevi a cercare i reperti su Ebay.com o in qualche vecchio bar sperduto…

 

[1] http://it.wikipedia.org/wiki/Mumbai

[2] http://www.aibmproject.it/il-brandy-dei-servizi-segreti-e-non-solo/

 

 

PREVIEW E IN PRINCIPIO FURONO 50 COCKTAILS IBA di Luigi Manzo

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