Quando Campari si bevve il Crodino

Noi volevamo un Crodino, loro ci hanno offerto anche un Cynar, un Vov, un Bianco Sarti, un calice di Riccadonna e, per lenire la sbornia, pure un po’ di Oransoda e Lemonsoda con un bicchiere d’ acqua minerale Crodo“.

Marco Perelli Cippo, da sei mesi amministratore delegato della Campari, la butta sul ridere, eppure in quella battuta c’ e’ la vera storia della cessione delle attivita’ italiane della Bols Wessanen all’ultracentenaria azienda milanese. C’è cioè il grosso ribaltone della Davide Campari Spa che, da un giorno all’ altro, si ritrova azienda multimarca da impresa monoprodotto che era. C’è la multinazionale olandese che, da sola, arrancava sul mercato italiano e che prefersice cedere tutto in cambio di un pezzo della Campari. E c’è l’ oggetto del desiderio lungamente corteggiato dal quartier generale di via Turati.

Quel Crodino acqua santa senza alcol che, messo insieme al diavolo alcolico Campari Soda, arriva a bersi il 52 per cento del mercato dei cosiddetti aperitivi monodose sodati. Alla fine, Italia batte Olanda 13 ventesimi a 7 ventesimi. Un insolito punteggio frazionario per dire che, dal 13 gennaio, la Campari piu’ le societa’ ex Bols appartengono per il 65 per cento a una famiglia italiana, i Garavoglia, e per il 35 per cento alla Bols Wessanen, public company pura ubicata ad Amsterdam.

Si potrebbe dire che il primo effetto di questo accoppiamento eterogeneo e’ che l’ aria dei Paesi Bassi ha fatto subito abbassare le arie della Campari, che era una monade impenetrabile e che mai aveva concesso un’intervista. “Si figuri . sorride Perelli Cippo . che prima non davamo i bilanci nemmeno alle banche che ce li chiedevano. Ora che non siamo piu’ chiusi e monoprodotto ma aperti e multibrand, abbiamo rotto il tabu’ storico di riservatezza che durava da 130 anni“. In un momento in cui il settore delle bevande alcoliche in Italia diventa sempre piu’ dominio delle multinazionali, con Martini e Rossi incamerata da Bacardi, Cinzano e Buton finite all’ inglese Grand Met e Stock appena passata alla tedesca Eckes, il fatto che l’azienda del bitter resti a maggioranza italiana rappresenta un’eccezione.

Anche se sorge subito un dubbio. Chi dice che gli olandesi si accontentino di una sola fetta della torta? Tanto piu’ che sul restante 65 per cento hanno ottenuto un diritto di prelazione, cioe’ saranno i primi interpellati se gli altri azionisti decideranno di vendere. Insomma, l’azienda milanese, non corre il pericolo di finire nel paniere della Bols? Per la quale del resto potrebbe essere poco allettante tenersi una quota di minoranza, con soli 3 membri su 11 nel consiglio di amministrazione e, quindi, con nessuna possibilita’ di influire sulla gestione dei propri interessi. “Perche’ mai i Garavoglia dovrebbero vendere in un prossimo futuro? . rassicura tuttavia Perelli Cippo .. Se avevano una mezza idea, avrebbero ceduto ora che c’ erano le condizioni migliori per incassare il massimo. Alcuni grandi gruppi esteri, infatti, hanno offerto cifre a 12 zeri“. Tra questi, per esempio, Grand Met, che era disposta a scucire 2 mila miliardi per portarsi a casa tutta la Campari. Per capire se davvero Bols non ha chance di crescere in Campari, conviene vedere le cifre dell’ operazione appena conclusa. All’azienda milanese i marchi ex olandesi in Italia sono costati 500 miliardi, se nella cifra si comprendono anche i debiti che ha dovuto accollarsi. D’ altro canto la Bols, per quel 35 per cento, ha sborsato attorno ai 400 miliardi. Chi ha venduto e’ stata pero’ solo una delle due famiglie finora proprietarie di Campari, i Rossi. Erinno Rossi e Domenico Garavoglia, a quel tempo manager fedelissimi, nell’ 82 comprarono l’ azienda da Angiola Maria Migliavacca, ultima discendente della dinastia Campari che era rimasta senza eredi. Ora Rossi ha venduto tutto ed e’ uscito completamente dalla Davide Campari. La quale, nel nuovo assetto del gruppo, da societa’ operativa diventa holding finanziaria che controlla due subholding, addette una al mercato italiano e l’ altra a quello estero. La Bols Wessanen, a questo punto, secondo il giudizio di autorevoli analisti finanziari olandesi, si e’ pero’ dissanguata sborsando quei 400 miliardi e, ora, viene giudicata con una liquidita’ troppo bassa per pensare a ulteriori acquisti. Tranquillo sul fronte proprietario, adesso Perelli Cippo pensa alle strategie future.

“Con l’ acquisizione . spiega . realizzeremo importanti sinergie commerciali. Il mercato degli aperitivi sodati, infatti, per il 70 per cento passa attraverso il canale bar, un segmento molto frazionato e quindi difficile e oneroso da servire. Per questo avevamo il bisogno assoluto di aumentare la massa critica dei nostri prodotti. Ora con il Crodino associato al Campari Soda, la situazione migliora nettamente”. Verrano poi anche realizzate sinergie industriali tra le otto unita’ produttive ex Bols e Campari, che comporteranno tagli di doppioni e risparmi di costi. Con la creazione di esuberi di personale che, Perelli Cippo assicura, non supereranno “alcune decine di unita’ “. La nuova realta’ del gruppo permette di prevedere un aumento di fatturato attorno al 5 per cento nel ‘ 95, una percentuale non tanto bassa se si tiene conto che da cinque anni il mercato degli spirit subisce contrazioni medie del 5 per cento all’ anno. Nel ‘ 94 il fatturato consolidato Campari e’ stato di 430 miliardi ( 7,5 per cento rispetto al ‘ 93) con 50 miliardi di utili, mentre il giro d’ affari Bols dovrebbe fermarsi attorno ai 350. Paradossalmente il nuovo gruppo, nonostante l’ immissione dei partner olandesi, e’ ora meno internazionalizzato. Campari, infatti, con il suo aperitivo conosciuto in 170 Paesi del mondo, ricava il suo fatturato fifty fifty tra Italia ed estero. I nuovi marchi come Cynar o Vov o Riccadonna non erano stati finora abbastanza spinti all’ estero dalla Bols. Cosi’ il fatturato complessivo adesso parte sbilanciato con un 70 per cento proveniente dall’ interno dei nostri confini. “Per questo . chiarisce Perelli Cippo . punteremo a riequilibrare il mix promuovendo all’ estero alcuni dei nuovi marchi acquisiti e altri, come il Bianco Sarti che va forte al Sud, li spingeremo solo regionalmente”. Mantenendo pero’ gli sforzi di investimenti pubblicitari storicamente sostenuti sul Campari, una quota di circa il 10 per cento sul fatturato. Intanto l’ amministratore delegato mantiene un occhio vigile su possibili nuovi brand da acquisire, anche se negli alcolici la cosa non e’ molto facile visto che i piu’ appetibili sono in mano ai colossi stranieri.